Innovation Agri Tour. Digitale, da opzione a necessità: anche in agricoltura
All’Eima di Bologna è andata in onda la sesta puntata dello IAT sulle competenze. La rivoluzione digitale è in corso e governare il cambiamento non è banale
Ospiti
- Gianni Dalla Bernardina – Presidente CAI, Confederazione Agomeccanici e Agricoltori Italiani
- Andrea Richetta – Head of Arduino PRO Customer Success
- Fulvio Conti – Head Delivery PAL, Agriculture and Enviroment Practice at Almaviva
- Angelica Aldrovandi – Rappresentante Giovani Impresa Emilia-Romagna Coldiretti
- Giovanni Lorenzi – Harvesting Customer Support Specialist di John Deere Italia
- Antonio Seggioli – Partner at Nagima Consulenza e Formazione srl
Innovation Agri Tour. Se prima della pandemia il digitale era un’opzione che poteva essere messa in discussione con il Covid-19 è diventato più che mai un’indubbia necessità. Partecipare alla rete, avere un’ottima connettività e pensare in digitale è diventato fondamentale per qualsiasi attività dalla scuola alla sanità, dall’impresa al commercio e anche per l’agricoltura.
È questa la filosofia che sottende il sesto appuntamento dell’Innovation Agri Tour (il video completo è disponibile a questo indirizzo) organizzato in una versione ibrida, e quindi finalmente con gli ospiti in presenza, all’EIMA di Bologna 2021. Capire come le tante nuove tecnologie, indubbiamente legate alla rivoluzione digitale stiano impattando sul mondo dell’agricoltura e quali siano le competenze necessarie per gestire il cambiamento con successo.
Una rappresentazione concreta di quanto sta accadendo si è avuta girando per gli stessi padiglioni di EIMA dove si incontravano sempre più spesso parole in teoria lontane dal mondo agricolo. Apice di tutto questo EIMA digital, sempre più interessante e in grado di attrarre realtà che fino a pochi anni fa non avrebbero avuto spazio in un simile contesto perché troppo lontane.
Innovation Agri Tour, il ruolo del risparmio all’interno del 4.0
Il digitale però non esiste di per sé, è un fattore abilitante, è come fosse un super carburante in grado di dare più velocità al cambiamento. I trattori sono evoluti, hanno introiettato una serie di innovazioni che riuniamo, per semplificare, sotto il nome di 4.0, e che riguardano la connettività, i dati e quindi la possibilità di far parlare tra loro le macchine e quindi di ottimizzare input produttivi e coordinare gli sforzi.
Un primo dato significativo, evidenziato nel corso dell’incontro dell’Innovation Agri Tour, è che tutte queste innovazioni sono ricercate, perché consentono di risparmiare grazie ai vari incentivi, ma in realtà sono ancora poco note e soprattutto poco utilizzate. Solo il 4% degli agricoltori utilizza il trattore al 100% delle sue potenzialità, gli altri si limitano a utilizzarne le funzionalità più tradizionali. Un peccato se si pensa ai risultati che si potrebbero raggiungere, non solo in termini di resa, ma soprattutto in termini di qualità e valore aggiunto.
Un cambiamento fondamentale. Ma costoso
Durante l’Innovation Agri Tour di contro poi, come sul finire dell’incontro hanno ben rappresentato Gianni dalla Bernardina (presidente della Confederazione Agromeccanici) e Angelica Aldovrandi di Coldiretti tutto questo cambiamento in corso è costoso. Non tanto e non solo in termini economici, quanto in termini di impegno, di necessità di rincorrere, di capire quanto si muove intorno a noi o di essere travolti da ondate di novità di cui si fatica a cogliere l’utilità.
Perché, per esempio, la user experience e l’accettabilità, la facilità con cui il cambiamento deve essere introdotto è importante. Bisognerebbe riuscire a cambiare facendo sempre le stesse cose. Certo però non è facile. Questo perché, banalizzando, le giornate rimangono di 24 ore e i conti alla fine del mese devono sempre tornare; trattori non possono essere sostituiti così spesso e alla fine apparentemente fanno tutti lo stesso lavoro.
Sono posizioni critiche molto diffuse a cui hanno provato a rispondere i produttori che abbiamo invitato proprio nella logica di capire come si stia muovendo il mercato.
La posizione dei concessionari
Una posizione molto radicale è quella assunta da John Deere, di fronte a uno strumento che evolve, il trattore, c’è anche tutta la filiera che lo precede e lo segue: cambia l’impresa che lo progetta e produce, ma si evolvono anche le figure che lo seguono, lo vendono e lo manutengono in caso di necessità.
Giovanni Lorenzi di John Deere ha quindi ben spiegato come si stia evolvendo il ruolo del concessionario che non può più essere visto come una semplice officina, ma piuttosto come una vera e propria centrale operativa in grado di ricevere e analizzare da remoto i dati di centinaia di mezzi. Un centro specializzato capace di gestire le relazioni con i clienti in modo da programmare i fermi macchina e intervenire quando più comodo e funzionale. Ecco così che il servizio e il rapporto con il cliente assume più importanza e mimetizza il cambiamento in atto.
Nascono quindi nel concessionario figure professionali che hanno poco a che vedere con i tradizionali meccanici e che sono totalmente “altro” rispetto a quello che siamo abituati a pensare.
È del tutto simile l’approccio portato avanti da Almaviva e dalla nuova Fondazione Riccagioia, che si confrontano con il mondo agricolo con la volontà di innovare, ma soprattutto di costruire un ecosistema virtuoso che accolga le esigenze dei piccoli medi agricoltori e le porti a sistema anche coinvolgendo nuovi player. Anche qui la risposta agli Agromeccanici e a Coldiretti (che è partner di Riccagioia) è il tentativo di offrire delle consulenze puntuali e molto verticali su singoli settori. Perché certamente serve qualcuno che testi e validi le innovazioni, mettendole a terra nel lavoro quotidiano.
Così da un lato la Fondazione, come ha ben spiegato Antonio Seggioli, offre consulenze coinvolgendo partner di rilievo e aprendo nuovi mercati (come quello statunitense) dall’altro Almaviva porta la sua esperienza nella costruzione di piattaforme (come quella realizzata per la Regione Abruzzo) e come integratore di sistema, con l’intento, da quanto ha descritto Valerio Aquè, di scalarla su base nazionale (anche se è solo un esempio di attività).
Bene, qui la novità sta nel fatto che un ecosistema tecnologico si metta a disposizione dell’agricoltura per semplificare l’adozione di nuove tecnologie. Se, per esempio, è impensabile che il produttore si trasformi in un data entry obbligato a prendere nota di tutto quello che accade in azienda (anche di quelle azioni, si intende, che per legge possono non essere segnalate) è possibile che tutto questo venga tracciato attraverso strumenti tecnologici che sono già presenti in azienda e che sono poco o male utilizzati. È possibile poi che minimi investimenti in sensoristica o in IoT possano arrivare a valorizzare il prodotto in maniera importante perché facilitano la partecipazione a bandi o rendono possibili azioni di marketing, ormai decisive.
Per tutto questo non sono importanti le singole competenze prese di per sé, ma è importante il dialogo, il confronto multidisciplinare che si può verificare tra chi ha background e saperi differenti, ma un obiettivo comune: crescere e migliorare.
Ne sono un esempio la piattaforma di Almaviva pensata per valorizzare il lavoro dei piccoli medi produttori e dei consorzi, ma anche le piattaforme dati e le schede hardware di Arduino progettate per l’agricoltura di precisione e il water management ben descritte da Andrea Richetta.
Rappresentano i mondi dell’informatica e dell’hardware che solo da qualche anno possono essere interessanti, per i costi che normalmente implicavano, anche per i piccoli medi produttori. Sono infrastrutture abilitanti, devono essere riempite con l’esperienza, l’intelligenza e la sensibilità di chi conosce e lavora la terra e che in cambio possono donare la “martellante” precisione dell’intelligenza artificiale che non mancherà mai di segnalare una correlazione, per quanto stupida o poco interessante.
Sono temi di cui si parla in molti corsi universitari che alla parola agricoltura aggiungono di volta in volta IoT, robotica, AI, blockchain, argomenti che, fino a qualche anno fa, erano di pertinenza del mondo della difesa o della finanza.